Dom Pérignon Rosé 2005, una “performance d’essai”

di Chiara Giovoni 03/02/17
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Dom Pérignon Rosé 2005, una “performance d’essai”

La prima italiana per Dom Pérignon Rosé 2005 è stata la scorsa settimana al Teatro della Pergola di Firenze, e la location scelta per il debutto non è stata casuale, visto che il meraviglioso teatro fiorentino di fini seicento è coevo del celebre monaco benedettino scelto dalla Moët & Chandon nel 1921 come emblema del suo nuovo champagne di lusso. Uno champagne che ha fatto la storia, anche grazie all’immediato e sconvolgente successo che lo ha reso l’antesignano di tutte le cuvée de prestige e che nel 1959 si è presentato ai suoi fedelissimi ammiratori con la versione Rosé.

Da allora le due cuvée hanno duettato senza rubarsi la scena, con il Rosé a fare una parte quasi di cameo rispetto al Vintage Blanc, un’eccezione legata a 28 annate particolarmente favorevoli. Oggi però qualcosa è cambiato e con “Rosé is not pink” la Maison mette il punto sul concetto creativo, o meglio creazionista di questa cuvée. Perché Dom Pérignon Rosé non è la versione rosata dell’icona della Champagne, ma tra le mani dello Chef des Caves Richard Geoffroy (affiancato dal 2005 da Vincent Chaperon) è diventato un nuovo concetto di champagne che supera l’idea di champagne di lusso delle origini. Eppure nella sua introduzione Vincent Chaperon specifica che "c'è solo un Dom Pérignon e la filosofia è la stessa per tutti i nostri vini, dal Blanc alla P2, perché tutto Dom Pérignon è fatto da uve pinot noir e chardonnay e aspira a mostrare il perfetto equilibrio tra l’espressione delle uve nella specifica annata e lo stile.” Però presentare il nuovo Vintage affermando che “il Rosé non è rosa” non è una mera questione di colore, e questo assunto concettuale mette in evidenza le direttrici che delineano il DNA della cuvée Dom Pérignon Rosé.

Dal punto di vista delle uve abbiamo certamente l’equilibrio chardonnay-pinot noir, a cui però si aggiunge un disequilibrio dato dal secondo elemento ovvero il pinot noir vinificato in rosso. Le caratteristiche di questo elemento di disequilibrio nell’assemblaggio spingono a ricercare il bilanciamento della potenza e della struttura date dal maggior frutto con una ricerca della tensione per tornare verso l’equilibrio dell’armonia tipica di Dom Pérignon.

E qui entra in gioco il terzo tema – perché si deve iniziare in vigna a lavorare per integrare le tre anime della cuvée - ovvero il ruolo fondamentale la maturazione, perchéè evidente che la Maison abbia iniziato a fare nuove riflessioni sulle caratteristiche di questo champagne da quando il clima ha concesso alla regione annate più calde e con esse tannini più maturi e meno aggressivi per le uve a bacca rossa. La 2005 è stata una di queste annate, dove la vendemmia diventa un gioco di nervi saldi e ansia, perché aspettare la piena maturazione fenolica significa rischiare di perdere parte del raccolto per selezionare, visto il caldo e la botrite causata dalle piogge.

Le uve rosse provenienti da Hautvillers, Aÿ, Bouzy e Cumieres hanno affrontato una vinificazione “borgognotta” ma con soli 3 giorni di macerazione sulle bucce, dato che l’alcol potenziale della vendemmia era già 11.5, un valore già alto per la Champagne. Questo perché pur volendo estrarre l'essenza e la personalità del pinot noir non ci si può spingere troppo oltre: l’assemblaggio è in disequilibrio con l’aggiunta del vino rosso e le due polarità di struttura e tensione, austerità e sensualità devono poi essere armonizzate nello stile inconfondibile Dom Pérignon. Questa destinazione finale per Vincent Chaperon, quarantenne di origine bordolese che ha respirato champagne da oltre 15 anni alla Maison, è un quadro puntillista composto da tutti i diversi vintage, che devono arrivare a comporre un insieme in cui l’osservatore riconosce un solo artista.

In questo progetto “in progress” Dom Pérignon Rosé 2005 arriva a noi, coerente non perché identico ai suoi predecessori ma perché contribuisce a comporre l’opera corale che la Maison traccia con ogni sua creazione.

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