La birra dei folletti di Babbo Natale

di Alessandro Brizi 23/12/16
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La birra dei folletti di Babbo Natale

Si chiamano Jólasveinar, termine islandese che significa i “ragazzi del Natale” e rappresentano quelle figure mitiche del folklore nordico all’origine della leggenda degli elfi aiutanti di Santa Claus. Stiamo parlando di 13 creature, nate dall’incontro della gigantessa Grýla con il suo terzo marito, anch’esso gigante, Leppalúði (entrambi divoratori di bambini e presenti nel poema epico dell’Edda di Snorri), che dal 12 al 24 dicembre, scendono dalle montagne uno al giorno per prendersi gioco della gente dei villaggi e scomparire, sempre uno alla volta, dal 25 dicembre al 6 gennaio. Inizialmente gli Jólasveinar erano figure non proprio positive: dispettose, irriverenti, manigolde e non proprio bonarie, molto simili agli Julenisser norvegesi, i Perchten tedeschi, oppure i Krampus del nostro Tirolo. Con il tempo e, aggiungiamo, la sempre maggiore mercificazione della simbologia del Natale (ben più antica del messaggio cristiano), questi folletti divennero via via sempre più buoni e automaticamente associati alla figura di Babbo Natale: un “dio moderno ed effimero”, perfetto “padre dispensatore di doni”, come sostiene lo psicoterapeuta Alfio Maggiolini, docente di Psicologia del ciclo di vita presso l’Università di Milano-Bicocca e autore, insieme a Michele Maggiolini, del libro La vera storia di Babbo Natale (Raffaello Cortina Editore, 2011).

A pensare ai “ragazzi di Natale” ma anche agli altri aiutanti di Santa Claus è il birrificio Ridgeway, nell’Oxfordshire, erede del glorioso birrificio Brakspear. L’azienda di South Stoke, capitanata da un vero e proprio genio della birra come Peter Scholey, mastro birraio proprio di Brakspear, è anticonformista e rivoluzionaria, così come evidente dai nomi, a dir poco stravaganti, riservati alle birre di Natale. Tra queste troviamo Reindeer’s Revolt (la rivolta della renna), Reindeer Droppings (gli escrementi della renna) oltre che una vera e propria, nonché sconsiderata, escalation di stati d’animo degli elfi, alle dipendenze di Babbo Natale e furiosi per i massacranti ritmi di lavoro imposti, ogni anno, nel confezionamento dei doni.


Si comincia quindi con la Bad Elf  (4,6% di alcol), Ale tostata, profumata di malto, fresca e corposa allo stesso tempo e dal finale di miele, per poi passare alla Very Bad Elf  (7,5% vol): scura, morbida, densa, invero un po’ alcolica, con sentori tostati di nocciole, noci e macadamia. I ragazzi di South Stoke, tuttavia, non si fermano qui e, immaginando gli elfi ancora più stressati con l’avvicinarsi del giorno di Natale, danno vita alla Seriously Bad Elf  (9% vol), tripel belga in salsa britannica contraddistinta da golose note di agrumi canditi, miele di acacia, toffee e erbe officinali, preludio di un assaggio ricco, dalla carbonica sottile e persistente. Ciò detto, a ridosso della vigilia di Natale gli elfi appaiono davvero fuori controllo e pericolosi, così la birra non può che essere la Criminally Bad Elf  (10,5% vol), un barley wine con sensazioni di caramello, frutta secca, cacao, caffè, tostature e ciliegie sotto spirito. Il gusto è dolce, strutturato, morbido e piacevolmente agrumato di chinotto. A chiudere il “ciclo”, da bere presumibilmente il giorno di Natale, quando tutto è finito e i nostri folletti sono ormai definitivamente impazziti, c’è l’Insanely Bad Elf , una Imperial red Ale da 11,2% di alcol, vera eccellenza dello spirito brassicolo britannico, che raccontiamo diffusamente nella nostra degustazione.

Esattamente come gli Jólasveinar dal giorno di Natale in poi gli elfi di Babbo Natale si ritirano insieme al vecchio con la barba bianca, in attesa del prossimo Natale. “In fin dei conti – afferma Jacqueline Wooleey, eminente psicologa dell’Università del Texas – quella su Babbo Natale non è una bugia vera e propria, ma una sorta di esortazione a partecipare a una storia di fantasia”.

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