Acquolina Hostaria, un nome azzeccato

di Livia Belardelli 24/11/16
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Acquolina Hostaria, un nome azzeccato

"L'acquolina in bocca, il forte desiderio di un cibo appetitoso: sentirsi (o avere) l'a. in bocca; far venire l'a. in bocca, di cibo che eccita l'appetito".

Basta guardare i piatti di Acquolina per rendersi conto che il nome è assolutamente azzeccato.

Siamo al Fleming, in una via nascosta che bisogna scovare. Una scalinata che sale ed ecco l’entrata del ristorante. Una veranda esterna in cui passare una piacevole serata e una grande sala interna su due livelli. Elegante la mise en place, efficiente il personale e il marchio di Angelo Troiani che è sempre sinonimo di estro e qualità. Ma in questo caso, a guidare la cucina, è un giovane chef davvero bravissimo: Alessandro Narducci.

Classe ’89, ha solo 27 anni ma un vero talento ai fornelli che trasforma in piatti di fascino e sostanza. Sono stata da lui ultimamente in due serate molto diverse, una finita a ristorante chiuso, allungatasi nella notte tra chiacchiere e progetti, l’altra più canonica, in coppia.


Serate diverse, entrambe piacevoli, con un leit Motiv comune, i piatti di pesce della cucina di Acquolina. Si parte dall’antipasto di crudo che, nella sua varietà, è il piatto più divertente della proposta, così vario e interattivo com’è. Non si può rinunciare a questi 16 piattini che riempiono il tavolo con colori e profumi diversi. È un viaggio per l’Italia con qualche influenza estera proveniente da culture gastronomiche diverse e lontane, esperienze di viaggio tradotte in un assaggio. Molto particolare il Gambero rosso pralinato agli anacardi con chips al curry e sfera di salsa raita che riporta ai sapori dell’India, il Sashimi di palamita, maionese al wasabi, agrodolce alla rapa rossa e coriandolo che strizza l’occhio al Giappone e un italianissimo e particolare abbinamento “mare e monti” con Carpaccio di orata reale, funghi porcini, talli di aglio, spugna al pino mugo, pinoli e sedano. Unica vera difficoltà del crudo è ricordare e pronunciare con esattezza i 16 nomi dei piattini da cui è composto.

Tra gli altri piatti assaggiati buono il Tataki di ricciola con tanto di oliva molecolare, riprodotta senza nocciolo tramite una sferificazione inversa del suo liquido. Non chiedetemi cosa significa a livello tecnico, ma a livello esperienziale significa una piccola sfera che esplode in bocca al sapore di oliva.  


Davvero degno di nota, a livello di sperimentazione e innovazione della tradizione, è la Mazzancolla. Ce la racconta Alessandro, partendo dall’insalata russa che gli preparava la nonna e che lui ha rivisto e innovato non soltanto nel gusto ma anche nella presentazione e nelle cotture. Si gioca con gli elementi, con tante verdure cotte in 7 maniere differenti che danno al piatto consistenze diverse e stimolano il palato. Dal gamberetto della nonna Alessandro passa alla mazzancolla per dare più importanza alla componente animale della ricetta mentre il piatto stesso, diviso in due parti – una calda e una fredda - , esplicita la volontà di risolvere il problema della temperatura. Il piatto componibile come fosse un puzzle ha temperature diverse in maniera che la mazzancolla resti calda e che gli elementi freddi del piatto – insalata e salsa – restino tali.


Infine il dolce che convince anche un’amante del salato come me. È un Cheesecake anomalo, ruffiano al punto giusto, con un’esplosione di passion fruit che equilibra perfettamente la parte grassa del formaggio e che, per non far mancare anche qui qualche esercizio di stile, è servito in tre maniere differenti, sorbetto, cremoso e gelatina. Impreziosiscono il tutto terra di cioccolato bianco e un gel di maggiorana che, unito all’acidità del passion fruit, rende questo dolce una delizia anche per i più strenui sostenitori del salato.

Insomma un’ottima cucina di pesce, affascinante e innovativa che vale la pena di provare. Anche perché, parola di chef, tante sono le novità all’orizzonte.





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