Il mio primo Picolit

di Daniele Cernilli 21/06/17
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Il mio primo Picolit

Era il 1978 e finalmente ecco davanti a me un calice del Picolit 1976 di Rocca Bernarda. Fu allora che capii il potere evocativo e simbolico del vino.

A metà degli anni Settanta, quando ero ventenne, a Roma iniziarono ad aprire i primi wine bar. Ce n’era uno in via di Ripetta, forse il primo, realizzato nell’enoteca Buccone, che ancora esiste, e che serviva bicchieri di grandi vini a prezzi ragionevoli. Si trovava a due passi dalla fermata di un autobus che arrivava anche vicino alla mia casa dell’epoca, così potevo raggiungerla facilmente, comprare e caricarmi bottiglie che poi potevo trasportare comodamente a casa senza troppa fatica. E potevo anche assaggiare qualche vino del quale non potevo permettermi l’acquisto di una bottiglie intera.

Tra questi c’era il Picolit della Rocca Bernarda , una vera leggenda, che aveva un punteggio stratosferico sul Catalogo Bolaffi dei Vini d’Italia di Veronelli, con commenti che sfioravano il componimento poetico. All’epoca la cantina, che è un pezzo di storia della vitienologia friulana, era ancora di proprietà del conte Gaetano Perusini, che di lì a breve sarebbe scomparso tragicamente, lasciando tutto al Sovrano Militare Ordine di Malta. Ricordo che un bicchiere di quel Picolit costava mille lire, circa dieci biglietti dell’autobus, più o meno 15 euro di oggi, tanto per dare un’idea, e una bottiglia circa 12mila lire. Erano un sacco di soldi, soprattutto per uno studente, e per metterli insieme ricorrevo a lavoretti vari, dai volantinaggi pubblicitari a qualche lezione privata di filosofia data a qualche liceale un po’ duro di comprendonio. Poi organizzavo anche qualche gita turistica insieme a un paio di vecchi compagni di liceo. Qualche lira entrava, insomma, ma la spendevo prevalentemente nell’acquisto di vino con grande stupore dei miei amici. Senza rendermene conto stavo mettendo le basi per la mia futura professione.

Quel bicchiere di Picolit, però, costava davvero tanto. La curiosità era enorme, ma mille lire erano una cifra notevole. Però un giorno, mi pare nel 1978, avevo incassato una bella cifretta per aver collaborato all’organizzazione di una grande mostra di mobili alla Fiera di Roma, e allora andai da Buccone e mi feci servire un bicchiere di Picolit del ’76. Bottiglia renana verde, etichetta bianca con disegnata sopra la silhouette della Rocca Bernarda, il nome Picolit in corsivo  Ero fortunato, mi aprirono davanti la bottiglia, ero il primo cliente di quel giorno che chiedeva un bicchiere di quel vino. Ricordo ancora come il liquido scivolò nel bicchiere, il colore, giallo dorato chiaro, meno carico di quanto mi sarei aspettato, e i profumi che cominciarono a inondare la sala, prima ancora di accostare il vino al naso. Miele, mandorla, forse anche pesca e fiori di campo. Deliziosi, accattivanti, non eccessivamente “passiti”. Ne assaggiai molto meno di un normale sorso, quasi per abituare le papille gustative a quel meraviglioso vino. Veronelli scriveva “dolce non dolce”  e finalmente compresi bene a cosa si riferisse. Iniziava leggermente dolce, ma non troppo. Quasi delicato, composto. Poi, nel corso dell’assaggio, quelle note zuccherine lasciavano il posto a sensazioni più fresche, di acidità, e infine a un retrogusto più che amarognolo “ammandorlato”, che mi ricordava le caramelle di zucchero d’orzo che mi dava mia nonna da bambino. Dolci, eppure un po’ amare alla fine.

Ci misi mezz’ora buona a finirmi tutto il bicchiere, e a ogni sorso mi veniva in mente qualcosa , un sapore, ovviamente, ma anche un episodio, un momento della vita, un ricordo. Ho capito molto del potere evocativo e simbolico del vino quella volta, e mi sono reso conto che non ero davanti a una semplice “cosa da bere”, ma a un liquido che aveva lo stesso potere d’impatto di un’immagine artistica o di un brano musicale. E la riprova di tutto questo è proprio nelle righe che ho appena scritto, ricordandomi tutto e quasi riprovando le stesse sensazioni di tanti anni fa.

Ho continuato a berlo in seguito quel Picolit. Sono riuscito ad andare a visitare l’azienda, su quella meravigliosa collina di Ipplis, nel cuore dei Colli Orientali del Friuli . Conobbi lo storico cantiniere, Carletti, che ne era la memoria storica, e sua figlia che era bellissima. Ai tempi del Gambero Rosso con Giulio Colomba riuscimmo, battagliando non poco, a farne premiare con i Tre Bicchieri un paio di versioni.

Ma i ricordi di quella mattina del ’78 restano stampati nella mente e nel cuore.





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