Gianfranco e il segreto del Sauvignon

di Daniele Cernilli 20/01/16
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Gianfranco e il segreto del Sauvignon

Quando lo conobbi nel 1981 io avevo ventisei anni e lui diciannove. Eravamo due ragazzi, insomma. Mi ci portò Silvio Jermann, che poi scoprii essere suo parente. Gianfranco Gallo muoveva davvero i suoi primi passi nell’azienda di famiglia, a Mariano del Friuli, un paese dell’Isontino molto noto per avere dato i natali a Dino Zoff, che non ha bisogno di presentazioni. La strada statale lo percorre tutto, e all’inizio dell’abitato (o alla fine, dipenda da dove si arriva) c’era la cantina di Stelio Gallo, padre di Gianfranco, che ancora poteva produrre i suoi vini con il cognome di famiglia. La causa internazionale che il gigante americano Gallo Winery intentò, e che costrinse in seguito a mutare il nome aziendale in Vie di Romàns non era ancora stata fatta. Così le bottiglie renane di Malvasia, di Tocai e di Sauvignon potevano portare un’etichetta bianca con un galletto nero su un lato.
Gianfranco ci accolse con entusiasmo, mostrandoci la pressa nuova appena arrivata, e portandoci in vigna. Si vedeva fin da allora che in lui c’era il sacro fuoco del vignaiolo, quello che porta a lavorare con passione, senza mai guardare l’ora, cercando di migliorare la qualità dei vini con l’attenzione ai particolari apparentemente più insignificanti. La vigna sembrava un giardino, aveva una fittezza non comune per quell’epoca, soprattutto dove veniva coltivato il sauvignon, fin d’allora molto amato da Gianfranco e che sarebbe in breve divenuto un punto di riferimento assoluto per quella varietà in Italia. Un terreno pianeggiante ma pieno di sassi.

 


Di lì a poco, con l’esordio di Vie di Romàns e delle bottiglie borgognotte, proprio quella caratteristica determinò il suo nome. Piére in friulano significa pietre, e così quel vino prese quel nome, a cominciare dalla seconda metà degli anni Ottanta. Un Sauvignon mediterraneo, visto che il mare è a pochi chilometri, a Monfalcone. Soprattutto un Sauvignon avvolgente, con profumi esotici e varietali, ma senza esagerazioni, nel solco di una ricerca di eleganza e di equilibrio, oltre che di capacità d’invecchiamento, che sono sempre state le linee guida della filosofia produttiva di Gianfranco. La tecnica e la ricerca in funzione della puntuale realizzazione di vini quanto più territoriali possibili. Senza fughe in avanti e nel rispetto di ciò che le diverse vendemmie sono in grado di dare.

Quando uscì la versione del 1988 una leggera “casse” proteica provocò una piccola velatura del vino. Oggi nessuno ci farebbe caso, allora, nonostante il vino fosse straordinario, ci furono critiche e punteggi severi sulla stampa specializzata. Gianfranco tentò di spiegare che la cosa era dovuta alla ricchezza dell’annata e ai sistemi di vinificazione molto “naturali”. Non fu sufficiente a giustificare il problema, e lui ne fu molto deluso.
Da quel momento, però, i suoi vini, tutti, non solo il Sauvignon, non ebbero più il minimo limite. Nacquero altre etichette, grandi bianchi ottenuti da friulano, da pinot bianco. Poi gli uvaggi, il Flors d’Uis, il Dut’Un. La versione maturata in legno del sauvignon, che chiamò Vieris. Infine un delizioso Pinot Grigio vinificato delicatamente in rosa ramato, il Dessimis. Oggi Gianfranco è considerato un maestro, il più giovane dei maestri di vigna che iniziarono la rivoluzione friulana negli anni Ottanta, e il Pière Sauvignon è universalmente citato come esempio di Sauvignon friulano nel mondo. Non è un risultato da poco.

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