Montalcino tra innovazione e “succhia ruote”

di Riccardo Viscardi 16/10/17
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Montalcino tra innovazione e

Partendo da degustazioni di vecchie annate, risulta evidente che gli olfatti dei vini italiani si sovrappongono. Bisogna fare ricerca e avere coraggio per dare maggiore personalità varietale e territoriale ai nostri vini.

Chi pensa che gli innovatori siano coloro che usano i legni piccoli più o meno di provenienza francese non legga questo articolo; non è per lui. La trita e ritrita storia barrique no o si, è talmente stantia e vecchia che reputo inutile occuparsene. Anche chi ama parlare sull'altra amenità dei lieviti autoctoni tout court non troverà nulla qui a tal proposito. Qui parleremo di profumi . Partendo da una riflessione che purtroppo si manifesta sempre più evidente.

In varie occasioni, durante degustazioni alla cieca  dei grandi rossi italiani, con una profondità storica di almeno 20-25 anni, viene alla luce un problema di fondamentale importanza: la riconoscibilità olfattiva dei vini invecchiati. O si è dei grandissimi esperti (e non sempre basta) oppure riconoscere all’olfatto un Brunello da un Barolo o da un Aglianico o dai pochi altri vini provenienti da vitigni autoctoni degli anni '80 e inizi '90 non è per niente facile, anzi è spesso un'impresa. Di contro, la riconoscibilità dei vini francesi è molto più facile, a Bordeaux ci aiuta la santa pirazina, ma in Borgogna e in Rodano nonostante non ci siano sostanze volatili così particolari, la riconoscibilità rimane agevole. In Francia hanno dei comuni denominatori di vinificazione e di invecchiamento che aiutano la riconoscibilità, attraverso una codificazione olfattiva dei vari vitigni che è chiara e comune sia ai produttori sia alla critica internazionale che su questi concetti si è formata.

Basta vedere quanti studi ha fatto l’università di Bordeaux  sull’effetto del brett sui profumi e la lotta che è stata fatta per evitare di trovare i suoi derivati nel vino per capire l’importanza che danno a questo aspetto. Purtroppo in Italia siamo ancora al punto che qualcuno, con diritto di parola, dice che il brett è territoriale o che complessizza l’olfatto, che la volatile alta aiuti i profumi ad emergere e tante altre amenità del genere. Sciocchezze non solo scientifiche ma folli dal punto di vista degustativo: non si può codificare un difetto, il difetto appiattisce tutto, omogeneizza e distrugge sia i territori che i vitigni che li rappresentano.

Come gli innovatori degli anni '85-90 della zona del Barolo, dove la ricerca cominciò dalla vigna e dalle fermentazioni e non dalle barrique (nonostante il pensiero comune), anche questa ricerca è iniziata dalla vigna. Devo ammettere che il territorio dove la tematica dell’allungamento della vita olfattiva del vino è più sentita è quello di Montalcino e di un produttore di Amarone che non cito in quanto caro amico. Anche in questo caso gli innovatori sono dei giovani, spesso delle seconde e terze generazioni di vignaioli. Montalcino, grazie all'ottima marginalità permessa dal Brunello, è facilitato in questa ricerca che passa per investimenti onerosi sia in vigna, con scelte vendemmiali molto oculate, che con investimenti in cantina, soprattutto nel passaggio tra raccolta e vinificazione. Purtroppo la totale assenza della ricerca universitaria sui precursori aromatici e sulla loro stabilizzazione sul sangiovese, ma anche su altri vitigni, rende il percorso piuttosto personale e anche difficile .

Con le annate 2013 e 2014 avremo i primi risultati delle nuove idee applicate dai produttori, anche se alcuni Brunello 2012 avevano subito innovazioni nella gestione della fermentazione. E il processo di ricerca è trasversale allo stile di invecchiamento adottato per il vino. Quello che si è notato per ora è la fondamentale importanza del punto di maturazione degli acini, considerando la maturità fenolica importante ma non unico parametro considerabile come avveniva negli anni '90 e inizi 2000. Avete letto bene: maturità degli acini , perché la varianza qualitativa all’interno dello stesso grappolo supera il 20% su solo 6 parametri considerati. Di conseguenza hanno incrementato la selezione degli acini, prima con diraspatrici molto leggere che devono solo levare gli acini e poi con selettori, ottici o densimetrici, che separino gli acini con i parametri di maturazione consoni. Immaginatevi quindi l’abbattimento di prodotto finale . Tutto ciò unito al classico tavolo di cernita dei grappoli che ormai è il minimo sindacale per un vino di qualità.

Tutto questo lavoro di scelta si sposa con fermentazioni meno invasive sia a livello termico , si tende ad avere fermentazioni che partono a temperature basse per poi innalzarsi lentamente e senza mai superare i 32°C, sia  a livello meccanico con movimentazione del mosto . Sono pochi coloro che seguono tutte le idee sovraesposte ma la tendenza è di seguire una linea di comportamento che si rifa a queste almeno in parte. Sono diminuiti i delestage e le rimonte selvagge  che sebbene dessero più estrazione spesso martoriavano il profilo olfattivo. Abbiamo notato che i Brunello degli anni '90 con un profilo olfattivo più fruttato e integro sono quelli che venivano “sbattuti” di meno in fermentazione e che poi avevano un passaggio in barrique non troppo lungo e soprattutto iniziale. Questi vini mantengono una ciliegia migliore, più intensa, e per più tempo. Ricordiamo che il tracciante olfattivo del sangiovese è principalmente la ciliegia, variamente declinata in funzione delle zone e delle annate.

Con i nuovi metodi di scelte e di vinificazione questo aspetto si amplifica maggiormente senza perdere il contributo zonale, se è presente, in quanto non copre gli altri aspetti chiamiamoli più ossidativi come le erbe officinali, il cuoio, il tabacco, che per anni sono stati i traccianti principali considerati. Bisogna ammettere inoltre che la migliore scelta dell’uva dona un superiore quadro tannico dei vini rendendoli meno aggressivi grazie a una polimerizzazione migliore .

Di fronte a questa innovazione come sempre in Italia si creano schieramenti e divisioni spesso privi di senso. Molti "succhia ruote" (mi si passi la metafora ciclistica) vogliono solo massimizzare i guadagni e vanno contro, agitando il feticcio della tradizione, quando in realtà non vogliono investire, sfruttando il territorio al suo livello più basso e sfruttando coloro che creano interesse per il territorio con investimenti e idee nuove.

Io sono dell'idea che la comunicazione dovrebbe passare anche attraverso il Consorzio il quale ultimamente tace su tutto e adotta una posizione di rendita nata negli anni passati. Oltre i produttori, grande resistenza verso l’innovazione viene fatta dalla critica italiana  ormai sempre più sola ed autoreferenziale, tutta tesa a difendere le sue posizioni da presunto guru e a cercare di formare ecclesie piuttosto che dialoghi. Molti enotecari italiani hanno una sola idea di Brunello in testa: quella del vino olfattivamente “vecchio” perché invecchiato a lungo in cantina e quindi tengono a privilegiare toni ossidativi e maturi in un Brunello perché lo hanno sempre venduto cosi. La critica americana è come sempre la più curiosa sulle innovazioni e questo è un bene visto che è il mercato più importante per Montalcino e non solo. Imbarazzante l’esito della degustazione fatta in un noto concorso internazionale, con giurie che dovrebbero essere formate da professionisti con esperienza, dove il miglior Brunello 2012 è risultato quello di un noto imbottigliatore. Non c’erano tutti i Brunello ma alcuni molto buoni sì. Questo la dice lunga sulla comprensione che si ha di Montalcino all’estero.

Bisognerebbe comunicare di più e meglio magari con una strategia migliore, vero consorzio?





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