La versione di Gravner

di Daniele Cernilli 23/04/18
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josko gravner firmato doctorwine editoriale daniele cernilli

Ha fatto scalpore quanto detto da Josko Gravner sulla necessità per un produttore di dedicarsi alla filosofia. Il senso di questo consiglio risiede nella necessità di interrogarsi sul senso di quanto facciamo e sulle sue conseguenze. 

Lo scorso 15 aprile a Cerea, in provincia di Verona, nell’ambito della manifestazione ViniVeriJosko Gravner, leggendario produttore di Oslavia, ha tenuto una lectio magistralis sulla sua visione del vino. Ha sostenuto concetti che ripete da molti anni, ma la cosa stavolta ha avuto molta eco nel settore vitivinicolo nazionale e ha anche scatenato diverse polemiche.

Cosa ha in particolare detto Gravner di così rivoluzionario?

Ha sostenuto che se dovesse dare un consiglio a un giovane che inizia a produrre vino sarebbe quello di non studiare enologia, ma di dedicarsi alla filosofia, per cercare di avere delle risposte più profonde al suo operato. Le stesse cose, più o meno, le diceva anche Edoardo Valentini più di vent’anni fa, citando i Presocratici e i loro scritti sulla natura come principio della realtà. Ora, conoscendo Gravner da quasi quarant’anni, avendo la fortuna di essergli amico e avendo discusso con lui decine di volte, forse posso permettermi di tentare un’interpretazione che renda giustizia a ciò che intendeva e che non cada, come invece è avvenuto altrove, nel solito teatrino di ideologie contrapposte che tanto sanno d’insopportabili posizioni strumentali e in qualche modo “politiche” nella peggiore accezione del termine.

Un paio di premesse. Josko parla l’italiano come seconda lingua e tende perciò ad essere molto sintetico. Poi è sicuramente un visionario, non si ferma alla semplice analisi del mondo vitivinicolo ma prova ad andare oltre. Infine, esprime idee originali e ha un modo di ragionare profondo, personale e assolutamente trasparente, talvolta parla per simboli, ma non allude e non strizza l’occhio a nessuno. In aggiunta lui conosce molto bene l’enologia, in passato ha anche fatto vini “enologici” (parlo di prima del 1995) e quando cita Ribereau-Gayon, che fu un grande professore dell’Università di Bordeaux, lo fa a ragion veduta e non per sentito dire.

Detto questo, quanto ha sostenuto, secondo me, significava che non bisogna studiare “solo” enologia, e che comunque se si affrontano temi filosofici, materia che credo di conoscere abbastanza bene, all’interno di essi si ricomprendono anche le conoscenze tecniche. Però non ci si ferma a quelle. Ci si pongono domande sul senso di quanto facciamo, sulle conseguenze, sulla sostenibilità ambientale, sul rispetto del prossimo e sulla sorte di chi verrà dopo di noi.

Questioni che hanno a che vedere con la conoscenza e con l’etica, quindi, domande che molte persone dotate di sensibilità, d’intelligenza o di semplice buon senso si fanno, qualunque lavoro facciano. “Portare a casa dell’uva perfetta” come dice Gravner, significa averla coltivata in modo sostenibile, averla portata a maturazione senza forzature, avere una materia prima che gli consentirà di trasformarla in vino nel modo più semplice possibile, ma non casuale.

Non è un caso, infatti, che la cantina di Josko sia linda e pulita in modo maniacale, che se cade una sola goccia di vino a terra la pulisce immediatamente, che nell’ambiente si sente un profumo delizioso, e neanche un accenno di note acetiche o sgradevoli.

Non è un caso che i suoi vini bianchi, frutto di macerazioni lunghe anche sette mesi, non contengano note di acetaldeide, non siano maderizzati, nonostante una tecnica tendenzialmente ossidativa, e derivino da un lavoro di altissimo artigianato. Ecco, se mai il discorso potrebbe essere questo.

La versione di Gravner si capisce bene se le premesse sono quelle. Se i vini sono pensati e prodotti per essere esclusivi, artigianali, rari e anche costosi, come tutte le cose che sono realizzate così e che sono perciò quasi uniche. La difficoltà è, se mai, quella che si può trovare se si prova ad ampliare la produzione, a renderla più seriale, a passare dall’alta moda al pret à porter, insomma. Ma qui siamo in un altro campo, anch’esso in qualche modo “filosofico”, che però non intende tirare nessuno per la giacca, ma solo proporre ragionamenti, cosa che Josko Gravner fa da anni, senza schierarsi, da uomo libero che pensa con la sua testa e che non merita di essere strumentalizzato da chicchessia, né per renderlo un bersaglio polemico e neanche per santificarlo, cosa che, se lo conosco, non sopporterebbe affatto.





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