Osso San Grato, il Gattinara fuori dal tempo (1)

di Francesco Annibali 10/02/16
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Osso San Grato, il Gattinara fuori dal tempo (1)

Nel lungo e a tratti rapido tragitto che dal Monte Rosa termina nel fiume Po, il fiume Sesia disegna territori vinicoli fuori dal tempo, quasi rimasti sospesi, e al contempo raccontati da un gran numero di denominazioni. Forse anche troppe - chi lo sa.

Procedendo da nord a sud, e solo ricordando le più rilevanti: Boca, Ghemme, Sizzano, Fara. Tutte situate lungo la riva sinistra del fiume. A destra una sola, la più nota e quella che nei decenni ha dimostrato di saper raggiungere i più alti picchi qualitativi: Gattinara. Un territorio, questo raccolto attorno al Sesia, che sta risorgendo alla fama dell’Ottocento, quando il terreno vitato era molto più ampio dell’attuale. Fama che a fine Novecento l’aveva abbandonata.

Gattinara vuol dire nebbiolo, nella declinazione che forse coniuga meglio di ogni altra trasparenza e forza.

Mescolato con un po’ di vespolina, che dà tratti speziati, e di bonarda novarese (che nulla ha a che fare con il vino Bonarda dell’Oltrepò, fatto con croatina), usato probabilmente solo per promulgare una consuetudine. In purezza, invece, nelle versioni migliori. Una denominazione che da sempre può contare su un numero di produttori non molto ampio, ma con interpreti di eccezione.

L’azienda Antoniolo è stata fondata da Mario Antoniolo negli anni Quaranta del Novecento. Mario Antoniolo non era di Gattinara, ma proveniva da Roma e non era un viticultore, come d'altronde il resto della sua famiglia. Si innamorò del luogo, delle colline e dei vini locali, e decise di investire in questo territorio. Come primo passo acquistò le vigne, cercando di concentrarsi su posizioni collinari con le migliori esposizioni e con i suoli più ricchi di rocce. Suoli che all’epoca non venivano valorizzati, perché di scarsa resa e di difficile conduzione. Successivamente provvide al reimpianto, portando l’impostazione dei vigneti a giropoggio con terrazzamenti, e sostituendo con l’allevamento a guyot le vecchie controspalliere, pergole e maggiorine, che erano i sistemi più diffusi all’epoca. All’inizio degli anni Settanta Antoniolo venne affiancato a tempo pieno dalla figlia Rosanna che, sola in un mondo di uomini, condusse poi l’azienda per molti anni con professionalità e impegno assoluti. Su consiglio e insistenza dell’amico Luigi Veronelli, Rosanna nel 1974 iniziò la vinificazione in singolo dei vigneti: nacquero così Osso San Grato e San Francesco, e nel 1985 ebbe inizio la vinificazione in singolo anche della vigna Le Castelle.  

 

Attualmente l’azienda è condotta dal nipote Alberto, che prosegue lo stile familiare, fatto di austerità, coerenza territoriale ed eleganza. La sorella Lorella da molti anni lo affianca nella conduzione.

L’azienda attualmente conduce circa 14 ettari, con una produzione annua attestata intorno alle 50.000 bottiglie. I vigneti sono interamente di proprietà e tutti i vini sono prodotti unicamente da uve proprie. Vigneti che si nutrono di terreni vulcanici con una forte base acida: le colline del territorio sono state originate a seguito dell’estinzione di un super vulcano.

Terreni dunque ricchissimi di rocce vulcaniche con prevalenza di porfidi, con un grande apporto di potassio, magnesio e ferro, esposti prevalentemente a sud e a ovest. La composizione del suolo è prevalentemente rocciosa, con poca profondità. L’età delle vigne (tenuto conto del rimpianto) varia dai 60 anni circa dell’Osso San Grato e del San Francesco, ai 45 anni del vigneto Castelle. La maggioranza dei cloni insediati sono del vecchio tipo spanna (per gli impianti più vecchi) o lampia per gli impianti più recenti. Il portainnesto più diffuso è il 420 a, la forma di allevamento il guyot.

L’impronta fortemente tradizionale è alla base della decisione di non utilizzare lieviti nelle fermentazioni e di effettuare la vinificazione in vasche di cemento. L’affinamento per tutti i Gattinara targati Antoniolo è di 3 anni in legno, con prevalenza di botte grande da 30 hl di rovere di Slavonia e Francia. Per alcuni vini – non l’Osso San Grato –è previsto anche un parziale utilizzo di legno medio/piccolo di origine francese. I vini sono poi sottoposti ad un periodo di affinamento in bottiglia di un anno.

Ma l’aspetto che maggiormente caratterizza la filosofia aziendale è la volontà di trasmettere i caratteri dell’ambiente naturale, unico fattore non esportabile. L’intenzione è dunque quella di ottenere un vero e proprio “effetto terroir”, quale insieme unico di fattori che conferiscono al prodotto caratteristiche specifiche, poiché i vini prendono dal terreno una serie di composti che ne determinano la tipicità e l’originalità.

Antoniolo si contraddistingue per la coerenza, l’aver perseguito negli anni la stessa filosofia, senza essere sedotti e irretiti da mode, tendenze, cambiamenti suggeriti dai mercati.

DoctorWine: In un vecchio ricettario del Carnacina degli anni Sessanta, Veronelli scriveva che il Gattinara sta pari a Barolo e Barbaresco. A metà anni Novanta era invece quasi scomparso dalle carte e dai pensieri degli appassionati. Che cosa accadde?

Lorella Antoniolo: Sono intervenuti diversi fattori, che hanno fortemente influenzato la viticoltura del territorio e che in poco più di un centinaio di anni hanno portato la superficie vitata di Gattinara, dai circa 750 ettari dell’epoca, agli ettari attuali che si attestano in poco più di 100. D’altronde la stessa situazione si è verificata in tutto il comparto vitato dell’Alto Piemonte, che nello stesso breve lasso di tempo è passato addirittura da 40.000 a 1.300 ettari. Tra i fattori più significativi sicuramente c’è la tempesta del 1905, che ha distrutto quasi completamente i vigneti di Gattinara e ha obbligato molte contadini del luogo ad emigrare. Poi le guerre, e l’importante insediamento industriale degli anni Cinquanta, che ha distratto molti residenti dall’occupazione agricola, con progressivo abbandono dei vigneti. Alcuni commercianti imbottigliatori, insediati in zona perché attirati dalla notorietà della denominazione, hanno inoltre svilito l’immagine del vino locale, commercializzando produzioni di livello mediocre. A questo va aggiunto che il mercato per un paio di decenni è stato fortemente influenzato e indirizzato verso vini meno complessi, meno territoriali e caratterizzati: vini più facili, più comprensibili e con forte influenza di legni. Vini insomma ben diversi dai nostri. C’è da considerare che la cultura del vino in quel periodo era palesemente inferiore a quella attuale. Quindi i fattori, i numeri produttivi contenuti e le mode hanno portato alla situazione degli anni Novanta. Fortunatamente alcune aziende, quali la nostra, hanno “difeso il forte”, come si dice, e ora la situazione si è ribaltata: il gusto e la ricerca del consumatore sono cambiati, con un conseguente interesse – per di più in forte espansione – per tutte le produzioni di questa parte del Piemonte. Produzioni che si distinguono per coerenza territoriale.

Per quanto nello specifico scriveva Carnacina, e Mario Soldati parimenti, mi permetto di sottolineare che è errato paragonare i Gattinara ai Barolo e ai Barbaresco: abbiamo solo il vitigno che ci accomuna, ma suoli e clima sono prepotentemente diversi. Quindi il paragone non può sussistere. È come se, per assurdo, paragonassimo tutte le produzioni ottenute da un maiale: lei normalmente paragona il crudo al cotto? Oppure due formaggi prodotti da latte di animali della stessa razza, senza considerare dove e come l’animale viene allevato. O di cosa si nutra.

DW: Spanna, lampia, michet, chiavennasca, prunent: ci sono importanti differenze?

LA: Noi non abbiamo cloni michet o rosé, e ovviamente neppure chiavennasca e prunent. Diciamo comunque che come differenze di base il lampia ha un grappolo medio-grande, conico, lungo, abbastanza compatto e con ali pronunciate. Il michet ha un grappolo più piccolo e più corto, poco alato e poco compatto. Il rosé ha subìto una forte riduzione di utilizzo negli anni. Lo spanna ha le caratteristiche del lampia, ma è più allungato, più grosso e con ali molto pronunciate. Non abbiamo quindi paragoni di confronto in termini di rese e vinificazioni.

A domani per la seconda parte della nostra intervista alla famiglia Antoniolo e la degustazione verticale di Gattinara Osso San Grato.

 

 






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