Exultet, il Fiano senza fumo (1): intervista a Luigi Moio

di Francesco Annibali 16/09/14
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Exultet, il Fiano senza fumo (1): intervista a Luigi Moio

Se c'è un Sud Italia che dell'iconografia del Sud Italia ha poco o nulla, questa è l'Irpinia, territorio freddo e montuoso che quasi coincide con la provincia di Avellino, in Campania. Una Campania altra, montanara e silenziosa, estranea al folclore e segnata nel ricordo, e nell'immaginario, dal devastante terremoto del 1980.
Ma l'Irpinia è anche, o forse soprattutto, la principale zona vinicola regionale, e una delle maggiori di tutta Italia. Una delle rare zone che riesce a garantire l'eccellenza sia nel vino rosso, con il Taurasi, che sul versante dei bianchi, con due fuoriclasse come il Greco di Tufo e il Fiano di Avellino.
Greco e Fiano, Dioscuri. Acido, sostanzioso e sulfureo il primo, saporito e affumicato il secondo, e dai margini di miglioramento in bottiglia spesso superiori. Due primedonne, senza dubbio.

Luigi Moio è uno dei più importanti uomini del vino d'Italia. Titolare della cattedra di Enologia all'Università degli Studi di Napoli Federico II, consulente per molte realtà locali di primo piano, il professor Moio è“nato nel vino”, un sodalizio iniziato sin dalla nascita, nell'azienda di suo padre Michele Moio, storico produttore campano che negli anni '50 rilanciò il Falerno, il celebre vino caro agli antichi romani.
Dopo un lungo periodo trascorso in Francia, dove ha lavorato sugli aromi del vino presso l'Istitut National de la Recherche Agronomique di Dijon, in Borgogna, al rientro in Italia, nel luglio del 1994, il desiderio di avere un suo spazio dove esprimere in piena libertà, creatività, idee e amore per il vino lo conducono a fondare, nel 2001, Quintodecimo. Un'azienda nel cuore dell'Irpinia, dove lavora in via esclusiva sui grandi vitigni autuctoni irpini (gli altri sono l'aglianico, rosso, e la sottovalutata falanghina, bianca). Insomma, la persona più adatta per fare due chiacchiere a tutto tondo.

Doctorwine: La nota ‘fumé' che sviluppa il Fiano in terziarizzazione cos'è? E' stata individuata una correlazione con terreni, metodi colturali, malolattica, chiarifiche, ecc…?
Luigi Moio: La nota fuméè una nota generica. Il Fiano in realtà profuma di muschio, di erbaceo, di tiglio, ha note balsamiche e mentolate, più raramente di nocciola e mandorla. La nota fuméè legata alla tendenza del vino ad andare in riduzione, ossia ad avere un eccesso di ioni idrogeno rispetto all'ossigeno. E' una nota che si può presentare in qualsiasi vino, in modo particolare in quelli che hanno una tendenza riduttiva, come ad esempio il Sauvignon blanc. Il varietale del fiano è una sorta di floreale-muschiato. Rispetto al greco e alla falanghina è più ricco di terpeni sia nella forma libera, sia in quella legata, ossia sotto forma di precursori aromatici. Cosa che spiega il suo straordinario potenziale di invecchiamento. Il fiano è un autentico serbatoio aromatico.
DW: Cosa pensa della vinificazione in rosso, e dell'affinamento in legno grande, per greco e fiano?
LM: Non amo molto i bianchi vinificati in rosso, credo che gli svantaggi prevalgano. Soprattutto si perde fragranza, un aspetto decisivo per l'eleganza dei bianchi. E poi nella buccia delle uve bianche, a parte quelle molto aromatiche o quelle provviste di una buona concentrazione di precursori varietali, come ad esempio il sauvignon blanc, spesso non c'è molto da estrarre. Inoltre con il mosto torbido e con una elevata presenza di ossigeno si perdono molti esteri, utili a conferire, come abbiamo già detto, freschezza aromatica.
Il greco poi ha una buccia sottilissima, ricca di leucoantociani e catechine, che nell'ultima parte della maturazione del grappolo già rilascia molto alla polpa dell'acino. Nel fiano, invece, essendo ricco di terpeni, potrebbe essere utile una lieve criomacerazione, ossia una stabulazione a freddo del mosto con le bucce, prima della fermentazione del solo mosto limpido.
Ma in fondo esiste un problema di metodo. Non posso alzarmi la mattina a vinificare greco e fiano in rosso perchéè un fenomeno di moda. Non si va per tentativi, senza ipotesi giuste. Devo estrarre solo ciò che serve al mio obiettivo enologico, ossia al modello di vino che ho in testa e desidero realizzare. Non tutte le sostanze contenute in un acino d'uva sono utili alla qualità del vino, per questo è necessario estrarre solo quelle buone. Inoltre quelle buone non sono le stesse in tutte le varietà di uva da vino.
Per quanto concerne il legno grande non è molto utile, se non come isolante termico. Per questo storicamente si è diffuso negli ambienti più freddi, quali ad esempio Alsazia e Germania, e - aspetto questo da non sottovalutare - in areali in cui dominano i vitigni bianchi molto aromatici.
DW: Greco e fiano sono piuttosto differenti quanto ad acidità e contenuto di terpeni. Perché i Suoi subiscono un affinamento analogo?
LM: Domanda interessante. Per comprendere meglio il carattere varietale di ciascun vitigno, ed eventualmente l'influenza del contesto pedoclimatico in cui vegeta la vigna, è necessario annullare al massimo tutte le variabili, sia viticole che enologiche. Una volta compreso per bene quest'aspetto, cercherò di adottare strategie viticole ed enologiche in grado di amplificare al massimo sia il carattere varietale che, eventualmente, quello pedoclimatico.
Per fare grande vini ci vogliono tantissimi anni, molte conoscenze e tanta pazienza. E' chiaro che, come dico da tempo, bisognerà in futuro andare sempre di più verso un'enologia varietale. Si dovrà, in futuro, parlare sempre di più di fianologia, grecologia, nebbiologia, sangiovesologia, cabernettologia, merlottologia, e cosi via. Ci sono, infatti, tra le uve enormi differenze fisiologiche e compositive. Purtroppo adesso è ancora molto presto per trarre conclusioni, in modo particolare nel caso dei nostri vitigni autoctoni. Sono fermamente convinto che le pratiche usate a Bordeaux, in Borgogna, in Alsazia non siano replicabili tal quale, per esempio in Irpinia, o in altre zone d'Italia: bisogna studiarle, analizzarle con spirito critico e costruttivamente plasmarle alle differenti realtà vitivinicole e, soprattutto, agli obiettivi che si hanno in mente.
DW: Greco e Fiano sono vini in un certo senso complementari. Pensare a un blend è utopia? Insomma l'Irpinia doc non è un vino addirittura potenzialmente più interessante del Fiano di Avellino e del Greco di Tufo?
LM: Il blend è già stato fatto, ed è il Fiagre di Caggiano, un vino che realizzai per la prima volta nel 1994. Ma interpretare l'intero territorio in quella direzione sarebbe un autogol. Ci sarebbe un forte rischio di l'omologazione.
DW: Passiamo all'attualità. Cosa pensa delle nuove chiusure delle bottiglie?
LM: Che potrebbero variare in base alla tipologia e alla qualità del vino. Più un vino è importante, soprattutto rosso, piùè opportuno adottare una chiusura in sughero che lo faccia ‘respirare'. Il sughero evita la chiusura olfattiva nei grandi vini rossi. Su quelli di pronto consumo potrebbe andare bene anche il sintetico. Ne esistono svariati tipi, con diversi livelli di porosità adatti ai differenti vini in funzione della loro esigenza di ossigeno.
Il discorso cambia totalmente per i vini bianchi, che subiscono in modo violento l'azione di decadimento olfattivo dovuta all'ossigeno, e che potrebbero essere maggiormente protetti da chiusure ermetiche, come i tappi a vite.
DW: Rimaniamo nell'attualità. E' possibile stilare un elenco dei prodotti enologici utilizzabili e del loro effetto organolettico?
LM: Occorre fare una distinzione fondamentale, che spesso non viene fatta, tra additivi e coadiuvanti. Gli additivi sono, ad esempio, l'anidride solforosa, l'acido citrico, l'ascorbico. L'elenco sarebbe molto lungo, ma molti di questi prodotti non vengono impiegati, anche se si tratta di prodotti autorizzati dopo una lunghissima e complessa trafila scientifica e normativa che ne ratifica l'autorizzazione all'uso. I coadiuvanti invece sono ad esempio i chiarificanti, essi non rimangono nel vino dopo il trattamento di chiarifica, di conseguenza non ha nessun senso parlare di ingredienti.
DW: E i lieviti?
LM: Un lievito non modifica significativamente un vino. Non posso ottenere un Greco da un Moscato. E non posso fare nemmeno l'inverso. Ci sono altri fattori, come la torbidità del mosto, la temperatura di fermentazione, la disponibilità di nutrienti azotati, il livello di ossigeno, la sanità stessa dell'acino d'uva, ecc., che influenzano molto più del lievito. Ad esempio l'equilibrio tra gli esteri e gli alcoli superiori all'interno del gruppo di composti volatili di origine fermentativa nei vini bianchi ottenuti da uve quasi neutre, ossia la maggioranza, cambia moltissimo. Nei vini rossi poi il lievito ha un'influenza irrilevante sul suo profumo. In questo caso la gestione della macerazione e l'integrità delle bucce sono aspetti molto più importanti, è necessario solo evitare deviazioni sensoriali.
DW: Ogni tanto si sente parlare di ozono come alternativa alla solforosa. 
LM: Questo è un punto dove la confusione regna sovrana. Perché mai dobbiamo individuare un'alternativa alla solforosa? Il vino è un prodotto alcolico, di conseguenza non ne serve molta. La solforosa serve soprattutto per conservare alcuni alimenti. E' presente in tantissimi prodotti alimentari (biscotti, cracker, frutta secca, salumi, succhi di frutta, frutta disidratata, sciroppi, patatine da forno, marmellate, pesce, crostacei, molluschi, hot dog, salsicce, ecc.). E' molto economica, è un potente antisettico ed un efficacissimo antiossidante.
DW: E nel vino?
LM: L'azione antisettica nel vino è secondaria, perchéè già svolta con grande efficacia dall'alcol etilico. Pasteur, giustamente, amava dire che il vino è la più sana e igienica delle bevande. E' molto difficile, quasi impossibile, per un organismo letale alla salute umana avvicinarsi al vino. Anche per questo la nostra amata bevanda accompagna una parte dell'umanità da millenni: è stata sempre più sicura dell'acqua!
Dunque il problema è essenzialmente solo quello di proteggere alcuni vini dall'ossigeno. Per questo obiettivo ne è sufficiente pochissima. Nei vini rossi, se prodotti da uve perfettamente sane, l'impiego dell'SO2 è perfettamente inutile. Nei vini bianchi, invece, è necessaria una corretta protezione antiossidante, proprio per preservare i caratteri aromatici varietali e, se presenti, territoriali. Senza questa protezione ci sarebbe una forte omologazione aromatica, sarebbe infondato e privo di logica parlare di tipicità e territorio, soprattutto per quanto riguarda i vini ottenuti da vitigni neutri. Un Greco e un Verdicchio senza un'adeguata protezione antiossidante sarebbero alla cieca pressoché identici. Il discorso cambia con gli aromatici, che sono ricchissimi di composti volatili responsabili del carattere varietale, per cui anche quando sono privi di solforosa continuano ad avere note varietali. È questo uno dei motivi per cui i primi passi della biodinamica, gli approcci naturali, biologici, eccetera, si sono avuti in Alsazia. L'ozono svolge un lavoro opposto rispetto a quello della solforosa: è un violento ossidante!
DW: E allora da cosa deriva l'obbligo di indicare in etichetta ‘contiene solfiti'?
LM: Perché, soprattutto a dosi elevate, ci sono problemi d'intolleranza con manifestazioni allergiche tipo riniti, starnuti, prurito agli occhi, rossori. E' un'avvertenza diretta a chi sa di avere quei problemi.

Non vi perdete, domani, la seconda parte dell'intervista e la verticale dell'Exultet.
 





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