Metodo Classico tra territori e stili

di Chiara Giovoni 16/03/18
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Metodo Classico tra territori e stili

Una recente degustazione di Metodo Classico tra territori e stili di vinificazioni diversi, ha mostrato come le scelte stilistiche dei produttori possano valorizzare anche zone poco note.

In occasione della Masterclass organizzata per Open Wine by Partesa è stato molto interessante accostare differenti denominazioni in una degustazione trasversale tra territori e stili di vinificazione. Unico comune denominatore, il méthode champenoise, ovvero il Metodo Classico, che metteva a fattor comune le bollicine di zone completamente differenti ma soprattutto delle visioni produttive e stilistiche ben identificabili, che rendevano ancor più peculiari i diversi vini. È evidente che a dominare una degustazione deve esserci sempre l’obiettivo e il tema che attraverso i vini si vuole approfondire, ma è stato stimolante ripercorrere le scelte stilistiche dei diversi produttori perché ciò ha permesso di comprendere non solo le potenzialità di territori e vitigni, ma anche la bellezza delle differenti espressioni che possono realmente intercettare palati e consumatori completamente diversi.

Nello specifico sono per me emerse interessanti evidenze su come le scelte di vinificazione possano valorizzare in modo evidente alcuni vitigni che a volte ricadono in denominazioni sottostimate rispetto ad altre più blasonate zone di produzione. Questo a mio avviso ha avvalorato ancor di più una mia personale (e in quanto tale ovviamente opinabile) visione per cui il Metodo Classico è così affascinante perché è realmente una pratica enologica in cui il fattore umano conta quanto il fattore naturale che vede l’unione di uve, clima e territorio. In particolare è stata proprio la degustazione dei vini, e la comprensione del loro stile, che ha determinato la scelta dell’ordine di servizio, che se avesse dovuto seguire criteri “più rituali” per un panel di spumanti - come una progressione in ordine di dosaggio o di millesimo - avrebbe fuorviato la degustazione anticipando assaggi che si sono rivelati di notevole complessità, proprio per stile di vinificazione.

Emblematico il caso di Verve, il Metodo Classico Extra Brut di Vigne Olcru, azienda dell’Oltrepò Pavese dalla storia molto recente, dato che la proprietà ha acquistato i 29 ettari di vigna solo nel 2004 finalizzando la cantina nel 2013. I dettagli della degustazione raccontano in sintesi come un lungo affinamento in bottiglia dopo la sboccatura ma prima della commercializzazione (come per Vigne Olcru) determini stadi evolutivi e complessità già piacevolmente evidenti rispetto ad un altro vino coevo, come il Franciacorta Riserva Pas Dosé Girolamo Bosio 2009, che invece nasce per stile produttivo più sottile, anche grazie al contributo di un 30% di chardonnay. E ancora infine come Champagne Drappier Grande Sendrée 2008 (di cui ho già scritto qui) pur avendo un anno in più (seppur da una vendemmia fresca) e una maggiore ricchezza in struttura dall’uso del legno in una fase di affinamento successiva allo svolgimento della fermentazione malolattica, sia estremamente flessuoso ed elegante e ancora al debutto del divenire, grazie ai quasi 8 anni sui lieviti, la fonte della giovinezza di ogni cuvée de prestige. Una degustazione che ha messo in evidenza territori ancora lontani dalla ribalta, come la denominazione Lessini Durello Doc Metodo Classico, che ha rivelato in Ca' Rugate un alfiere di carattere e personalità, e ancora che ha evidenziato il grande potenziale di un territorio noto e celebrato come quello di Santo Stefano Belbo, ma non per il moscato, bensì per un Metodo Classico da pinot nero e chardonnay di grande cura ed espressività come il Marcalberto.

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